Acqua d'orcio
Era la bevanda dissetante più amata dal popolo reggiano, quando ghiaccioli, granatine e gelati erano un lusso riservato a pochi. Molti hanno ancora nel palato quel senso di freschezza capace di alleviare prontamente il disagio della calura più implacabile.
Ricetta
Dell'acqua d'orcio esistono diverse ricette in libri di cucina reggiana o tramandate oralmente, spesso prive di dosi. Clicca qui per sapere di più.
Ingredienti: radici di liquirizia, semi di finocchio, anice, buccia d'arancia, acqua.
Preparazione:
- Fare macerare in abbondante acqua le radici di liquirizia.
- Bollire l'estratto di liquirizia con semi di finocchio e di anice anche fino a 24 h.
- A bollitura ultimata, aggiungervi la scorza di mezza arancia, lasciandovela per il tempo necessario a far raffreddare l'acqua d'orcio. La scorza d'anice e la scorza d'arancia sono ingredienti che non compaiono in tutte le ricette.
- Filtrare il prodotto ottenuto.
- Prima di servirlo allungarlo con acqua in proporzione 1 a 10.
Dove trovarla
Quasi del tutto sparita dalla circolazione, la si può ancora trovare alla Casa del Miele (vicolo Broletto, 1/A).
Cenni storici
A partire dal Rinascimento si diffuse l’uso dell’acqua d’orcio, bevanda aromatizzata alla liquirizia e anice che veniva bevuta nelle torride giornate estive. Le prime notizie reggiane risalgono al 1412, quando un editto del Consiglio degli Anziani ne autorizzava la vendita “dentro le mura”, sulla piazza maggiore. Fu probabilmente introdotta dai commercianti che valicavano gli Appennini per i loro commerci in Toscana, terra con la quale Reggio Emilia aveva fin dal Medioevo importanti contatti commerciali. L’usanza appresa dai mercanti toscani prevedeva di accattivarsi la clientela offrendo nel proprio negozio, gratis, acqua nella quale erano poste in infusione erbe; l'acqua, contenuta in un orcio, prese il nome di acqua d’orcio o d’orzo. Presto si capì che la bevanda migliore era ottenuta con l’infusione di liquirizia che procurava effetti rinfrescanti e tonici.
La storia recente risale al 1910, quando la famiglia Piolanti rilevò il primo chiosco di Piazza Prampolini (quello ottagonale, diventato una leggenda), affiancandolo poi ad altri tre banchetti simili sul bordo della piazza. «Era un’attività che la nonna di mia moglie, dagli anni Settanta dell’Ottocento, aveva appreso da bambina collaborando con una signora che aveva un banchetto all’altezza della galleria del Broletto». La famiglia Piolanti ha tenuto aperto il chiosco fino al 1980.