Monumento ai Concordi

Recinto funerario della Gens Concordia rinvenuto a Boretto nel 1929, rappresenta una delle più interessanti espressioni del rilievo funerario romano di tutta l'Italia settentrionale. Venne posizionato nei Giardini di Reggio Emilia nel 1930, per volontà di Salvatore Aurigemma, al tempo Sovrintendente per le antichità dell'Emilia.

Indirizzo

Parco del Popolo
Via Leopoldo Nobili - 42121 Reggio nell'Emilia

Come arrivare

Reggio nell'Emilia - centro storico

Il monumento si trova in pieno centro storico, alle spalle del Teatro Municipale Valli.

Cenni storici

Nel 1929, durante lo scavo di un canale di bonifica, venne alla luce un sepolcreto monumentale di età imperiale romana. Si trattava principalmente di un recinto rettangolare dotato di stele con iscrizione dedicatoria ad esponenti della Gens Concordia. Il Sovrintendente alle antichità d'Emilia, Salvatore Aurigemma, dispose il trasporto e la ricostruzione nei Giardini Pubblici di Reggio Emilia e garantì in prima persona un adeguato contorno botanico al monumento nella sua nuova collocazione, proponendo la creazione di uno spazio verde, mai caduco, come sfondo scuro per far risaltare in ogni stagione lo splendore del monumento. La ricostruzione si limitò alla fronte del recinto originario e a una piccola parte dei lati brevi, con una sistemazione a U, ponendo l'accento sugli elementi decorativi e lasciando in vista lo zoccolo in mattoni su cui poggiava il paramento marmoreo. La nuova sistemazione venne inaugurata il 28 ottobre 1930.

Il luogo di ritrovamento della stele dista poco più di due chilometri dall'antica Brixellum (Brescello) e corrisponde certamente alla necropoli orientale della città. Era attorniato da altre sepolture, tre delle quali segnalate da stele iscritte appartenenti alle Gens Vibia. Il monumento commemorava alcuni tra i più illustri cittadini della comunità di Brescello. L’imponenza dell’opera non fu il solo mezzo utilizzato per esprimere il prestigio della famiglia: ad essa si aggiunse tutto il complesso decorativo, scelto con cura e attenzione. Il recinto formava un quadrilatero all'interno del quale furono rinvenuti quattro ustrini, evidentemente corrispondenti alle deposizioni dei defunti menzionati nell'iscrizione e ritratti sulla stele. Al di sopra del basamento in mattoni, uno zoccolo in marmo di Botticino sostiene una balaustra con pilastrini sistemati ad angolo. Al centro della fronte un massiccio plinto sopporta il peso della stele commemorativa con i ritratti dei defunti, inquadrata da due semicolonne a scanalature elicoidali coronate da capitelli corinzi. Queste sorreggono una trabeazione a cui erano sospese a festone ghirlande di bronzo, delle quali non restano che i fori per il fissaggio. alle due estremità della balaustra si trovano cippi angolari, ognuno dei quali decorato con l'immagine dolente di Attis, rappresentato con il caratteristico berretto frigio e una fiaccola capovolta, e sormontato da un'urna in pietra. Gli apparati figurativi contengono riferimenti ai temi dello scorrere del tempo, del trapasso, della vita nell'aldilà. Entro una specchiatura del plinto di base della stele sono raffigurate a rilievo le quattro Stagioni. Scene di caccia con amorini, a rilievo molto basso, movimentano la fronte dello stilobate. Un secondo rilievo, al di sopra della trabeazione, è animato da esseri marini. Sull'attico della stele due piccoli geni a tutto tondo, recanti ciascuno una fiaccola abbassata, sostengono una conchiglia che circoscrive due ritratti. Una grande patera al di sopra dell'iscrizione contiene invece due busti femminili. I nomi dei quattro personaggi sono restituiti dal testo epigrafico. La liberta Munatia Rufilla dedica il monumento funebre a Caius Concordius Primus, a Caius Concordius Rhenus e alla figlia Concordia Festa. I due Concordi, entrambi liberti, avevano ricoperto la carica del sevirato, dedicandosi al culto dell'imperatore. 
L'età presunta di realizzazione del monumento è il terzo venticinquennio del I secolo d.C. e l’utilizzo di marmo di Botticino suggerisce l’ipotesi che i realizzatori dell’opera fossero di origine bresciana e non emiliana.