Teatro Sociale
Indirizzo e contatti
piazza IV Novembre - Palazzo Bentivoglio - 42044 Gualtieri
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Teatro sociale Gualtieri
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Notizie storiche
Dalla palude al teatro principale: palazzo Bentivoglio
Palazzo Bentivoglio è un Palazzo che spicca sull’abitato circostante con mole parossistica. Lo si potrebbe considerare seicentesca “cattedrale nel deserto” o, meglio ancora, “fortezza nella palude”.
In origine infatti era la palude: i torrenti della zona, Crostolo, Cava e Canalazzo, sino all’arrivo dei Bentivoglio intorno al 1560, superata Reggio Emilia impaludavano nelle zone basse di Meletole, Camporanieri e Gualtieri. Già millecinquecento anni prima di Cristo si erano provati i Terramaricoli a difendersi dalle acque stagnanti con le famose palafitte, poi erano passati gli Etruschi con barche e commerci, e intorno al II secolo a.C. erano arrivati anche i Romani, che per poter marciare coi loro eserciti sulle paludosissime plaghe avevan costruito vie tabellarie, costruite cioè su tavole e pali.
Nel Medioevo i Benedettini per primi cominciarono a bonificare e disboscare le zone in questione, per recuperare terreno all’aratro, ma anche essi non arrivarono a risolvere le cose perché mancava loro quella visione d’insieme che avrebbe permesso una sistematica e coerente bonifica. Insomma nessuno riusciva a risolvere il palustre problema… Verso la metà del 1500 le ripetute inondazioni e una crescita demografica inaspettata cominciarono a destare serie preoccupazioni negli abitanti delle zone di Brescello, Boretto, Poviglio, Meletole e Gualtieri: terreni allagati sottratti al coltivo in un momento in cui sarebbe stato necessario piuttosto rubare all’acqua per dar terra al grano. Di qui la decisione di rivolgersi alle autorità competenti, nella fattispecie gli Estensi. Alfonso II per l’acquoso problema aveva l’uomo giusto: Cornelio Bentivoglio, condottiero valente e stratega zelante.
Cornelio, 24 luglio 1567, s’infeuda a Gualtieri: comincia ad arginare i torrenti e a canalizzare le acque palustri. Il Crostolo finalmente viene fatto sfociare nel capiente Eridano, e le stagnazioni gualtieresi vengono convogliate in un nuovo canale, detto la Fiuma, che dopo aver raccolto le acque passa sotto il sopraccitato Crostolo con un lungo sistema di botti vaso-comunicanti in muratura, fino a giungere alla Moglia.
Mentre vengon costruite le botti comincia la costruzione del palazzo signorile che dovrà ospitare Bentivoglio & corte (i mattoni per altro sono gli stessi). L’edificazione del palazzo e dell’antistante sua piazza sono affidate all’illustre Giovan Battista Aleotti, detto l’Argenta, architetto di corte degli Este. Il progetto diviene esecutivo solo con l’avvento di Ippolito, figlio di Cornelio, e dota Gualtieri, fino ad allora un borgo di quattro case ancora mezze incastrate nel Medioevo, di un razionalissimo piano urbanistico di stampo rinascimentale.
Ma i Bentivoglio restano ben poco a Gualtieri: già nel 1634 Enzo, secondogenito di Cornelio scambia il feudo di Gualtieri con quello di Scandiano, e Gualtieri è reintegrato di fatto nello Stato Estense. Di qui il succedersi di una serie di feudatari non residenti che affidano ad amministratori più o meno fidati le sorti del Nostro.
All’inizio del ‘700 Palazzo Bentivoglio vive il periodo di declino più nero: spogliato e vandalizzato è alloggio di milizie impegnate nelle guerre di successione. Le sorti del palazzo subiscono una svolta il 28 settembre 1750 quando il Consiglio Comunale decide quasi all’unanimità (14 palle bianche contro una nera soltanto) di acquistare il monumentale complesso direttamente dagli Este. Il palazzo perisce signorile e risorge comunale pronto a rispondere più strettamente alle esigenze della popolazione.
L’esigenza più urgente è quella di costruire dei “pennelli” frangi-corrente per arginare il pericoloso spostamento dell’alveo del fiume che erode gli argini poche decine di metri dietro la piazza dell’illustre Aleotti. Per costruire i frangi-corrente nel 1751 vengono demoliti i tre quarti del decaduto palazzo che già parzialmente in rovina era probabilmente sentito come inutile e gigantesco ammasso di mattoni: ecomostro ante litteram.
Ciò che rimane del palazzo viene popolato ben presto delle più svariate attività: esso ospita “gli alloggi del Medico condotto, del Chirurgo e somministra i comodi per la pesa, per il Macello, per il Dazio della ferma, salina e granai per le sue moliture, e quartiere alla guardia della ferma, oltre i magazzeni inservienti ai bisogni pubblici”. Insomma il Palazzo, proprietà moribonda d’Illustri Signori, dandosi ai gualtieresi riprende vita: alleggerito parzialmente della mastodontica mole diviene versatile ricettacolo delle attività più diverse. Ed è proprio su questa linea e solo a questo punto che dall’iniziativa dell’ingegner-architetto Giovan Battista Fattori, nasce il Teatro Principe.
Il teatro principe 1775
“Fattori messosi a capo di alcuni dilettanti del luogo il 13 gennaio 1775 chiese alla Comunità di poter fare un piccolo Teatro, valendosi delle camere a pian terreno del Palazzo Bentivoglio, occupate allora dal Medico, e dal Chirurgo”.
La proposta firmata dal Fattori diceva:
“È già noto alla maggior parte delle Signorie Vostre Molto Illustri il nobile pensiero, in alcuni dilettanti di questa terra , di venire, cioè, alla formazione di un Piccolo Teatro. […] Nel pubblico palazzo trovasi a terreno un sito, che si riconoscerebbe adatto all’intento, e sono le due camere, una delle quali è compresa nel quartiere accordato al Signor Medico Chirurgo, e l’altra contigua goduta dal Chirurgo.”
“La Comunità approvò la sana iniziativa – che servir doveva (dice la delibera relativa) per impiegare la gioventù di questa giurisdizione in onesti divertimenti e per istruirla e renderla vantaggiosa e liberarla dall’ozio in certi tempi dell’anno e far nascere tra questa una profittevole emulazione. – Infatti il 16 marzo il Fattori veniva chiamato in Consiglio perché egli Tecnico facesse il progetto di riduzione di spesa, coll’assegno da parte del Comune di lire 2000, non ostante che i giovani si fossero profferti di spendere del proprio”.
Cominciano ben presto i lavori: viene abbassato il piano di calpestio del pian terreno; nei locali a destra della sala principale vengono ricavati l’atrio, la biglietteria, il caffè e un camerino; viene costruito l’alveare ligneo del doppio loggiato di palchetti ed infine viene aperto un accesso diretto sulla piazza chiuso da un grosso portone. Sorge così il Teatro Principe: piccolo Teatro all’italiana in legno, con struttura a ferro di cavallo e due ordini di palchi.
Il Teatro, di buona fattura barocca, era di dimensioni molto inferiori rispetto a quelle attuali: la sala alta non più di sei metri, larga otto e profonda circa undici aveva volume complessivo inferiore alla metà della sala odierna. Il palcoscenico, spalle al muro, si appoggiava ad un antico scalone cinquecentesco ed era largo, come la sala, otto metri e profondo circa sette.
Il teatro sociale 1905
Nel 1905 il teatrino ligneo del Fattori subisce radicale trasformazione: l’Amministrazione comunale socialista decide l’ampliamento e la ristrutturazione dell’angusto teatro. Il progetto è affidato al perito Vittorio Mazzoli, mentre le decorazioni verranno eseguite da Villa di Reggio Emilia. Dopo un primo preventivo ci si rende però conto che i soldi non sono sufficienti: il Comune da solo non è in grado di affrontare l’onerosissimo intervento. Così, 29 giugno 1905, viene fondata la “Società Teatrale”, costituita dai “palchettisti”, futuri proprietari dei palchi di primo e secondo ordine. Essa contribuisce con circa 2.000 lire alla spesa complessiva di 25.000, e si assume la gestione del Teatro, a questo punto Sociale, per 99 anni.
I lavori di ampliamento cominciano subito dopo la costituzione della Società: il Teatro Principe in legno viene completamente demolito; le pareti laterali portanti sono parzialmente abbattute per incastonare una struttura a ferro di cavallo più larga di quella precedente; il soffitto è distrutto per permettere l’edificazione del terzo ordine ed infine anche la zona del palcoscenico viene ampliata demolendo parte di uno scalone cinquecentesco risalente ai Bentivoglio. Il teatro alla fine dei lavori risulta raddoppiato e ha una capienza intorno ai 300 posti a sedere su tre ordini di palchi sostenuti da esili colonnine in ghisa. Unico elemento mantenuto del Teatro Principe di Fattori è il numero di palchetti del primo e second’ordine: tredici (escluso il proscenio).
Il Teatro Sociale costruito “a cultura e diletto della cittadinanza” apre i battenti nell’autunno del 1907. L’articolo 16 dello Statuto della società teatrale dice:
“Il teatro è in linea di massima destinato per le sole rappresentazioni d’opere musicali drammatiche, di canto, veglioni e feste da ballo, trattenimenti di giochi di prestigio, marionette, esclusi i burattini”.
Ed infatti l’inaugurazione avviene con una stagione operistica di grande successo che mette in scena la Cavalleria rusticana di Pietro Mascagni e i Pagliacci di Ruggero Leoncavallo: 1,20 lire in platea, 0,60 in loggione. Negli anni successivi la febbrile attività del teatro vede la messa in scena della Carmen di Bizet, del Barbierie di Siviglia di Rossini, del Don Pasquale di Donizzetti e della Gioconda di Ponchielli.
Nel 1912, probabilmente in seguito al successo avuto dagli spettacoli messi in scena si decide l’ulteriore allargamento del palcoscenico che assume dimensioni inusitate per un teatro di provincia. Per allargare il palcoscenico si demolisce ancora, e per sostenere la struttura del palazzo viene costruito un grande arco a sesto acuto che ancor oggi regge titanicamente il tetto e rappresenta con la sua mole uno degli elementi più suggestivi del teatro stesso.
Con la Grande Guerra l’attività del teatro si ferma, ma riprende già nel 1919 e sino al 1923 si registra il periodo più vitale del Teatro Sociale con ben undici repliche della Bohème di Puccini, dell’Andrea Chènier di Umberto Giordano e della Tosca, anch’essa di Puccini. L’attività lirica cessa nel 1936, quando con la Norma di Bellini ha luogo l’ultima rappresentazione.
A fianco dell’attività lirica il Teatro già dal 1907 ospita le feste da ballo e i veglioni organizzati da un gruppo di giovani operai che si fanno chiamare la “Palanca Sbusa” (il soldo bucato, cioè senza valore alcuno). La “Palanca Sbusa” che per lungo tempo a Capodanno e a Carnevale organizza affollatissime feste è composta da:
- Amedeo Alberini, detto “Malghes”, bracciante, capo della compagnia;
- Camillo Spaggiari, detto “Buseca”, muratore;
- Primo Maggiori, muratore;
- Costantino Moggia, muratore;
- Davide Califfi, detto “Ciapela”, custode del macello;
- Silvio Soliani, detto “Silvion”, muratore, grande oratore dialettale;
- Vecchi Oreste, carrettiere;
- Guido Bontempelli, elettricista;
- Feliciano Verzellesi, elettricista;
- Vittorio Re, detto “Iupèn”, operaio.
Negli anni Trenta all’attività del Teatro si affianca quella del Cinema. In loggione con sottili tramezzi in muratura viene ricavata la cabina di proiezione, viene acquistato un grosso proiettore e comincia il frenetico ronzio delle pellicole.
Nel 1951 il Po rompe gli argini e Gualtieri è allagata. In Teatro l’acqua raggiunge il livello della balconata di prim’ordine, ma al ritirarsi del fiume esso torna ad essere il fulcro dell’attività teatrale della Bassa Reggiana, punto di riferimento per tutti i paesi vicini.
L’attività continua sino al 1983 quando il teatro viene chiuso al pubblico per seri problemi strutturali.